domenica 30 agosto 2009

3. I modelli DR

Nel 2002 nel mondo sono stati contati ben 121 su 192 paesi a governo DR (BALDINI, PAPPALARDO 2004: VII), ma non tutti sono considerati paesi democratici nel vero senso della parola. Fabbrini (1997: 13), per esempio, indica solo «24 democrazie stabili» (e precisamente Australia, Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Islanda, Israele, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Portogallo, Spagna, Stati Uniti, Svezia e Svizzera), che hanno in comune degli organi istituzionali, ossia un presidente, un organo di rappresentanza (il parlamento), un gruppo maggioritario che esprime un organo esecutivo (il governo) e un gruppo minoritario (l’opposizione).
Ciascun organo istituzionale è dotato di poteri specifici, ma con interpretazioni che cambiano da paese a paese. Il presidente può essere eletto dal parlamento o dal popolo e assumere diversi poteri: nel caso in cui egli abbia poteri autonomi rispetto al capo dell’esecutivo, si parla di governo parlamentare dualista o diarchia. Il potere esecutivo può essere affidato al parlamento stesso (governo parlamentare), al presidente (governo presidenziale), ad entrambi (governo misto) o ad un primo ministro. Se il capo del governo detiene il potere di nomina e di revoca dei ministri ed è ad essi gerarchicamente sovraordinato, si parla di premierato o cancellierato. Il premier può essere eletto dal parlamento o dal popolo.
Fra queste istituzioni, quella che dovrebbe caratterizzare meglio la DR è certamente il parlamento, non per niente il parlamentarismo è stato indicato da Kelsen come “l’unica forma reale possibile dell’idea di democrazia” (KELSEN 1995: 74). Il parlamento dovrebbe esercitare un potere (diretto o indiretto) di controllo su tutta la politica e costituisce il centro nevralgico e il simbolo del sistema DR, anche se talvolta è sopravanzato da altre figure istituzionali, come il governo, il presidente o il primo ministro.
A seconda che prevalga il governo o il parlamento, si parla di sistema a prevalenza governativa o a prevalenza parlamentare, mentre, a seconda che prevalga il presidente o il primo ministro, si distinguono tre tipi di governo presidenziale: a preminenza del primo ministro (Austria, Irlanda, Islanda), a preminenza del presidente (Francia, Russia, Corea del Sud), a diarchia effettiva (Portogallo e Finlandia). Il buon funzionamento di questi sistemi dipende dalla coincidenza della maggioranza che ha espresso il presidente con quella che ha espresso il premier. In ogni caso, il governo esercita un potere cruciale. “È il governo che detta l’ordine del giorno e i ritmi di lavoro del parlamento. È il governo che presenta i principali progetti di legge se non tutti, e che ne stabilisce i contenuti essenziali. È il governo che stabilisce ciò che in parlamento si approva o non si approva...” (BARBERA, FUSARO 1997: 83). Di norma, il governo risponde al parlamento (sistema parlamentare); se risponde al popolo si parla di sistema neoparlamentare.
Riguardo alla rappresentanza, si possono distinguere due modelli fondamentali di democrazia: uno maggioritario (detto anche Westminster, dal nome del palazzo in cui si riunisce il Parlamento della Gran Bretagna) e l’altro consensuale (o consociativo, o proporzionale). Il primo è orientato a dare al governo maggiore stabilità, a scapito della democraticità, il secondo rappresenta meglio i diversi gruppi popolari, ma tende ad essere meno stabile. I due modelli vengono interpretati in modi diversi dai singoli paesi, ma è difficile dire se vi siano sostanziali differenze qualitative fra l’uno e l’altro. L’unico dato che Lijphart dà per certo è che “il modello di democrazia maggioritaria si rivela particolarmente adatto alle società omogenee, ed in queste funziona meglio, mentre il modello consensuale è più adatto alle società plurali” (1988: 13).

3.1. I Sistemi maggioritari
Alla fine, tutti i sistemi maggioritari (Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti) si fondano “su una competizione bipolare con lo schieramento vincitore che va a formare il governo e lo schieramento sconfitto che va a fare l’opposizione” (PASQUINO 1995: 16), ma è possibile suddividerli in due tipi: a turno unico (o plurality) o a doppio turno (o majority). Il primo si distingue per la sua semplicità (ogni collegio elegge un solo rappresentante, che è colui che riceve più voti, anche se inferiori al 50%, e costui prende tutto il potere, mentre i perdenti perdono tutto) e perché dà origine a sistemi politici bipartitici e governi stabili. Il principale difetto del maggioritario, sia esso plurality o majority, è quello di essere poco democratico, ossia di non rispecchiare le reali volontà degli elettori. Per esempio, nelle elezioni del 2001 in Gran Bretagna è accaduto che i laburisti, avendo ottenuto il 40.7% dei consensi, hanno poi conquistato seggi come se avessero ricevuto il 62.7% di consensi (BALDINI, PAPPALARDO 2004: 20). Il majority è un po’ più complesso del plurality, ma più adatto nei paesi ove siano presenti molteplici forze politiche, nessuna delle quali in grado di ottenere la maggioranza assoluta dei consensi. In questo caso, il primo turno serve per verificare il consenso delle diverse forze politiche in campo, il secondo turno (che può essere «aperto» a nuovi candidati o «chiuso») consente di giocare a carte scoperte, ossia con i partiti ben schierati su due fronti (bipolarismo).

3.2. I Sistemi proporzionali
Il sistema proporzionale prevale nelle società meno omogenee e plurali ed è particolarmente diffuso in Europa e nei paesi latino-americani. È caratterizzato da una maggiore rappresentatività, ma anche da una certa farraginosità, che è legata in parte all’“alto numero dei partiti con la conseguente frammentazione del Parlamento” (PASQUINO 1994: 223), in parte all’impiego di particolari formule matematiche, che lo rendono più complesso. L’esito della votazione cambia a seconda della formula adottata, rimanendo tuttavia molto più fedele alla volontà espressa degli elettori rispetto al maggioritario, con l’eccezione della Spagna, il cui sistema proporzionale è tale da avere effetti quasi maggioritari (BALDINI, PAPPALARDO 2004: 43). A fronte dalla maggiore democraticità del proporzionale, ci sono da considerare almeno due inconvenienti: il primo è che “le regole elettorali condizionano psicologicamente i voti e meccanicamente i seggi dei partiti, nonché il tipo di maggioranze al governo” (BALDINI, PAPPALARDO 2004: 124); il secondo inconveniente è che il sistema proporzionale favorisce i grandi partiti, tendendo a sovrarappresentarli (PIRETTI 1998: 102).

3.3. I Sistemi di tipo misto
Allo scopo di ridurre i limiti di questi due modelli fondamentali, si sono andati affermando negli ultimi decenni dei sistemi di tipo misto, intendendo per tali “quelli che mirano a combinare organicamente il principio maggioritario con il proporzionale” (CARDUCCI 1994: 181). A fronte del fatto che questi sistemi sono i più complessi in assoluto, non è chiaro se essi siano effettivamente migliori (CHIARAMONTE 2005). Secondo Maria Teresa Piretti, “il rischio che si corre è di costruire in realtà un sistema profondamente instabile, perché orientato solo alla logica «strumentale» del risultato parlamentare da produrre, e non alla logica di «legittimazione» propria dei sistemi rappresentativi” (1998: 137). Si tratterebbe, in altri termini, di sistemi in cui l’elemento tecnico-formale prevale sull’esigenza di democraticità sostanziale.

3.4. Alcuni sistemi politici DR
3.4.1. Stati Uniti. Il sistema elettorale statunitense è di tipo maggioritario, simile a quello inglese, ma con la differenza che in USA si vota prevalentemente per la persona anziché per il partito. Si tratta di un “governo presidenziale”, in cui i poteri esecutivo e legislativo sono separati, ma entrambi legittimati dal popolo. Il Parlamento, chiamato Congresso, viene eletto dai cittadini ed è nettamente separato dal governo. Detiene il potere legislativo e si compone di due parti: Camera e Senato. Nella Camera vengono eletti 435 deputati (numero fisso), eleggibili tra i cittadini che abbiano compiuto 25 anni di età, mentre il Senato è composto da due senatori per ogni Stato, eleggibili tra i cittadini che abbiano compiuto 30 anni di età. Il Presidente viene eletto da 538 Grandi Elettori, dura in carica 4 anni e può essere riletto una sola volta. Tutto il potere esecutivo è nelle sue mani. “Negli Stati Uniti, il potere esecutivo è affidato ad una sola persona, il Presidente della federazione. I ministri sono nominati dal Presidente e sono responsabili nei suoi confronti. Egli riunisce nelle sue mani i poteri di capo dello Stato e di capo del governo, risponde della propria azione non verso il potere legislativo, ma verso il popolo, che lo elegge e gli può confermare o revocare la propria fiducia ogni quattro anni” (LEVI 1997: 52). Il Presidente guida la politica estera del paese e comanda le forze armate, nomina i pubblici funzionari e i giudici della Corte Suprema. Il Congresso non può sfiduciarlo, ma solo metterlo in stato di accusa (impeachment). Il principale vantaggio di un siffatto governo è la stabilità. Gli svantaggi sono almeno due: il primo, che il popolo generalmente elegge il candidato che si sa presentare meglio e risulta più attraente, anche se non necessariamente ha le doti di un buon governante; il secondo è che, se il presidente e il parlamento non sono disposti a cooperare, il sistema si blocca.
3.4.2. Gran Bretagna. In estrema sintesi, il cosiddetto modello Westminster è un sistema politico bipartitico, a prevalenza del premier e maggioritario. Secondo Lijphart (1988: 15-7), esso è caratterizzato dai seguenti nove elementi: il governo è monopartito e a maggioranza risicata, mentre l’opposizione è costituita da un’ampia minoranza; i poteri esecutivo e legislativo sono uniti, con predominio del primo sul secondo; prevale il potere della Camera dei Comuni, che è eletta dal popolo, su quello della Camera dei Lords, che è composta da membri della nobiltà (bicameralismo asimmetrico); il sistema è bipartitico (il Partito Conservatore e il Partito Laburista); i due Partiti si somigliano molto (“la società britannica ha un alto grado di omogeneità e la dimensione socioeconomica è la sola in cui i maggiori partiti divergono in modo chiaro e netto”); il sistema elettorale è di tipo maggioritario, nel senso che “è eletto il candidato che ha la maggioranza assoluta dei voti o, nel caso in cui questa non venga raggiunta, quello che ha la minoranza più ampia”; il sistema di governo è unitario e centralizzato, i governi locali sono emanazioni del governo centrale; la Costituzione è non scritta e la sovranità appartiene al parlamento (sovranità nazionale); la democrazia è esclusivamente di tipo rappresentativo (non c’è posto per il referendum o l’iniziativa popolare).
3.4.3. Belgio. Il Belgio è una monarchia costituzionale ereditaria, in cui il governo è responsabile di fronte al parlamento. Nel 1993 il paese si è dato un assetto federale. Le due Camere sono elette su basi diverse e si dividono il potere in parti simmetriche; il sistema è multipartitico con rappresentanza delle minoranze; i partiti rispecchiano le forti differenze sociali (economiche, religiose, ecc.); i seggi parlamentari sono attribuiti ai partiti in proporzione ai voti che essi ricevono; la Costituzione è scritta e la sovranità appartiene al popolo.
3.4.5. Francia. L’attuale Quinta Repubblica francese è l’unica democrazia maggioritaria uninominale a doppio turno. Questo sistema, che è utilizzato ininterrottamente dal 1958, coniuga presidenzialismo e parlamentarismo. È caratterizzato da due figure di potere: il Presidente eletto dal popolo e il Primo Ministro eletto dal parlamento.
3.4.6. Spagna. L’attuale ordinamento politico spagnolo è succeduto al franchismo ed è una monarchia parlamentare. Si tratta di un sistema proporzionale, che premia, in maniera consistente, i due maggiori partiti, mentre i partiti minori vengono penalizzati. In questo modo, il partito di maggioranza ha potuto governare senza ricorrere a coalizioni.
3.4.7. Germania. Il sistema elettorale della Germania federale è un sistema proporzionale quasi puro, temperato soltanto dal limite del 5% per l’ingresso al Bundestag e dalla possibilità di ottenere seggi in soprannumero attraverso i collegi uninominali. Il cancelliere è eletto dal Bundestag e rappresenta il vertice del potere esecutivo.
3.4.7. Svizzera. Il sistema svizzero è simile a quello Usa, con la differenza che, anziché una persona, il presidente, al vertice dello Stato c’è un Direttorio eletto dal parlamento. Il Direttorio, o Consiglio federale, dura in carica 4 anni e non può essere sfiduciato, il che garantisce 4 anni di governo stabile. Un’altra differenza rispetto agli Usa è che in Svizzera si fa molto ricorso alle consultazioni referendarie (se ne sono tenute 395 tra il 1866 e il 1993).

3.5. Conclusioni
Da quanto sopra detto possiamo trarre le seguenti considerazioni conclusive. La prima è che nessun modello DR è esente da critiche: il maggioritario è antidemocratico, il proporzionale non garantisce la stabilità di governo, il misto è un tentativo di barcamenarsi tra l’incudine e il martello, un artificio di comodo, che non è né carne né pesce e non è in grado di conquistare il consenso unanime. Evidentemente, i limiti di questi modelli non sono tanto da ricercare nella loro complessità o nella loro scarsa democraticità, quanto nella loro mancanza di coerenza fra quello che promettono (piena rappresentanza di tutti gli interessi in campo) e quello che effettivamente offrono (un sistema poliarchico). E qui ci troviamo di fronte ad un limite strutturale impossibile da rimuovere con dei semplici aggiustamenti di tipo tecnico. I sistemi DR non potranno mai accontentare tutti, perché l’unico modo di farlo sarebbe quello di dar voce a ciascun cittadino o almeno garantire ad ogni persona l’effettivo godimento dei propri diritti democratici, ma questo la DR non lo vuole, perché significherebbe rinnegare se stessa.
La seconda considerazione è che, per poter mascherare la sua incoerenza, la DR ha bisogno di un sistema di regole molto articolato, un apparato burocratico intricato e più livelli di garanzie per il cittadino, in cui è difficile districarsi senza l’aiuto di giuristi, di amministrativisti e di esperti di ogni tipo. È appena il caso di dire che tutto ciò non serve a rendere effettivi i diritti dei cittadini, ma a creare l’illusione scenografica che lo Stato sta facendo il possibile per tutelare i diritti dei cittadini e che, se in molti casi ciò non avviene, se cioè continuano ad esserci cittadini di serie A e cittadini di serie B, non è certamente colpa dei governanti. Se le leggi fossero poche e chiare, se l’apparato burocratico fosse semplice e snello, se si adottassero sistemi procedurali automatici e trasparenti a garanzia dei diritti, se si adottasse l’uso esclusivo della moneta elettronica, se si facesse tutto questo sarebbe facile palesare l’impostura. Ma questo non si fa, non si vuole fare, perché, se lo si facesse, ci sarebbe il rischio di entrare nel mondo DD e di decretare la fine della DR. Il massimo che la DR può fare è offrire delle poliarchie, che sono sempre meglio delle monarchie, ma che comunque, come ha correttamente osservato Angelo Panebianco, non sono democrazie, “sono regimi politici oligarchici” (1997: 113).

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